Si forma al liceo artistico di Brera a Milano. Lavora in ambito neocubista, poi neoconcretista presentando dipinti astratti alla prima mostra personale alla galleria del Cavallino di Venezia nel 1947, con testo introduttivo di Beniamino Joppolo, trovando credito presso il collezionismo. Leggi la biografia completa
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Si forma al liceo artistico di Brera a Milano. Lavora in ambito neocubista, poi neoconcretista presentando dipinti astratti alla prima mostra personale alla galleria del Cavallino di Venezia nel 1947, con testo introduttivo di Beniamino Joppolo, trovando credito presso il collezionismo. Con gli anni '50 aderisce allo Spazialismo di Fontana, accanto a Crippa, Corpora, Peverelli, Tancredi, Dangelo. Dal 1951 al 1955 lavora in ambito 'tachiste' con smalti acrilici aerografati o misti a sabbia e sgocciolati sulla tela mediante 'dripping'. Dova è anche tra i primi interpreti della 'pittura nucleare' di Baj e Dangelo (aderisce al movimento nel 1951 con Bertini) e delle ricerche sperimentali dell'informale in Italia. La personale alla galleria del Milione nel 1951, presentata da Gillo Dorfles, e la presenza a tre edizioni consecutive della Biennale di Venezia,accanto all'appoggio della critica, danno all'artista vasta notorietà in ambito nazionale e internazionale. Recupera la figurazione attraverso il contatto col Surrealismo e la frequentazione di Max Ernst, perfezionata alla mostra personale allestita dall'artista alla XXVII Biennale. Le sue tele, dai colori vitrei suggestivi di profondità abissali si popolano di strani insetti, totem, inquietanti presenze metamorfiche.Dagli influssi figurali degli 'Otages' di Fautrier passa a brutali personaggi totemici fortemente strutturati e compressi nello spazio, colmi di rimandi esistenziali, derivati da Lam. Tra le innumerevoli mostre personali in sedi private si cita quella torinese alla galleria Galatea, presentata da L.Carluccio nel 1958.Lunghi soggiorni in Bretagna nei primi anni '70 fanno virare la sua iconologia in senso naturalistico, con l'abbandono dell'aggressività abituale dei soggetti per un più disteso clima interpretativo.