Biografia di Peppino Campanella
Nato a Polignano a Mare (Ba), a vent’anni si trasferisce a Firenze dove nel 1988 si laurea in Architettura. Durante il suo corso di studi si appassiona alla fotografia e collabora per tre anni con Andreas Bossi, fotografo di moda fiorentino. Dopo la laurea, tornato nel suo paese natio in cui attualmente vive e lavora, alterna alla libera professione la passione per la fotografia, l’arte e il design. In seguito ad alcuni studi circa un suo illustre concittadino - il grande artista della Pop Art italiana Pino Pascali, prematuramente scomparso nel 1969 - l’attrazione per il mare, la campagna, e le forme della natura più in generale, aumenta con rinnovata curiosità. Collezionista di pietre lavorate da contadini e marinai, acceso sostenitore del riutilizzo dei materiali, comincia a maturare in lui l’idea di “dar luce alla pietra”. Il suo destino è scoperto dal caso: un suo amico poeta, Guido Lupori, gli chiede di realizzare una lampada. Così inizia, quasi per gioco, grazie alla sua innata curiosità, ad assemblare pietre, vetri, conchiglie lavorati dal mare e dalla terra, e partecipa ad alcune mostre. Le prime, di carattere più concettuale, lo spingono a sperimentare elementi e forme e, riutilizzando materiali poveri, inizia a giocare con i chiaroscuri, mentre gli oggetti cominciano ad illuminarsi. Le prime applicazioni di questa ricerca sono rivolte al Teatro. Realizza per le compagnie del “Teatro delle Vigne” di Genova, “Rosso Tiziano” di Napoli ed “Ariele” di Bari, alcune lampade di scena.
Quasi per sfida, abbandonata la professione di Architetto, si trasferisce in un vecchio frantoio a picco sul mare di proprietà della famiglia, e comincia a realizzare oggetti fatti di pietre, vetro e piombo, che poi sostituirà con lo stagno.
Il vetro, che Peppino Campanella vede come “acqua solida”, diventa protagonista delle sue creazioni grazie alla sua capacità di diffondere effetti straordinariamente luminosi. Le sue opere, sospese tra arte e design passano da un decorativismo eccessivo, quasi arabeggiante, ad una sempre maggiore ricerca tesa a minimizzare la luminescenza degli elementi. I suoi oggetti non hanno lo scopo di illuminare, ma di creare atmosfera, di evocare il mare, il cielo, l’aurora e il tramonto e… di sbalordire. La sua ricerca attualmente è volta in questa direzione.
Lontano da sempre da leggi di critica e mercato dell’arte, la sua fama è frutto della passione per il suo lavoro, e di una tenace autopromozione. Le sue lampade hanno fatto il giro del mondo, sono negli spazi espositivi più esclusivi e sono anche apparse in alcuni film italiani quali: “Quello che le ragazze non dicono” di Carlo Vanzina, “Faccia di Picasso” di Massimo Ceccherini, “Sangue vivo” di Edoardo Winspeare, “Denti” di Gabriele Salvatores e “La Febbre” di Alessandro D’Alatri, suo amico.