Nato a Milano nel 1921, Giovan Francesco Gonzaga è discendente da un ramo cadetto dei nobili di Gonzaga mantovani. Un uomo di eccezionale vitalità che parlando di se stesso sostiene con metaforico piglio: “Sono un decadente, un crepuscolare. Leggi la biografia completa
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Nato a Milano nel 1921, Giovan Francesco Gonzaga è discendente da un ramo cadetto dei nobili di Gonzaga mantovani. Un uomo di eccezionale vitalità che parlando di se stesso sostiene con metaforico piglio: “Sono un decadente, un crepuscolare. Non guido la macchina: Vado a Cavallo. Ho trascorso l’infanzia - un’infanzia dorata - fra nitriti e profumi di scuderia…nella villa di Soncino, dai nonni. Mia madre si occupava di moda, andava a Londra, a Parigi ed io ad otto anni ero già in sella”. A dieci anni il futuro Maestro esegue trecento disegni a penna raccontando il cammino del genere umano dall’età della pietra fino al termine della prima guerra mondiale. La madre non è propensa per la sua versatilità artistica: lo desidera avvocato, mentre i professori garantivano il suo destino d’arte. Sogna Brera e non avendo ottenuto il sospirato assenso non ancora ventenne parte volontario con il Savoia Cavalleria partecipando, con lo squadrone “Fantasma”, ad azioni di pattuglia nella steppa. Ha viaggiato a lungo all’estero, particolarmente in Spagna, traendo significative esperienze, sia sul piano umano che estetico. L’animo la forma del Maestro si sensibilizzano a quella poetica che tanto ha contribuito a contraddistinguere l’alto livello dello stile personale che accresce e divulga la fama dell’artista in ogni parte del mondo. Gonzaga attribuisce ai cavalli un valore essenziale, viscerale, primario e culturale. Tanto da far sostenere che lo interpreta sensitivamente e lo compenetra in assunto poetico primigenio ancor prima che lo rispecchia la coscienza. Insomma lo vive: lo sente fremere, nitrire, scalpitare, galoppare e lo dipinge con audace versione ispirata che comunica la pazienza e la forza, lo slancio, la furia consone alle proporzioni in tutta armonia con il ritmo potenziale della sua tavolozza. La fonte d’animo da cui il maestro alimenta e trasfigura in tensione di poesia la manifestazione cavallina che diventa anche filosofia della compiacenza umana.