Biografia di Luciano Palmieri
Luciano Palmieri fu annoverato in quel periodo da Renato Barilli nel gruppo del “Nuovo Futurismo” per la sua tendenza a proiettare il lavoro nella dimensione dell’artificio, nella simulazione, nella postmodernità elettronica; gruppo che con il Futurismo originario condivideva l’utopia celebrativa della tecnologia, la componente ludica e la dimensione totalizzante dell’atto artistico, sfociando spesso in contaminazioni con il design.
Nei primi anni ottanta Palmieri dava alle sue sculture forme dai colori dolci e zuccherini, sembrava voler creare una specie di arte mangiabile oppure creava oggetti dall’architettura levigata su lamiere piegate e verniciate, dalle sfumature spruzzate industrialmente, somiglianti ad una natura post-moderna. Erano oggetti antropomorfi che si ispiravano ad altri oggetti conosciuti, oggetti unici, dilatati, enfatizzati dentro ai quali si nascondevano riferimenti e allusioni a cui si potevano aggiungere sempre nuovi anelli di significato. Nelle prime “Nature” realizzate a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta Palmieri ha trattato temi oggi fortemente attuali, come il connubio naturale-artificiale e una nuova rappresentazione della natura in rapporto agli attuali sistemi di vita altamente tecnologizzati. Nelle sculture di quel periodo, realizzate ad altezza umana e in metallo smaltato, Palmieri da forma ad una natura ibrida e mutante che si adatta al proprio habitat e all’uomo.
Nelle sculture recenti si palesa un rigore operativo capace di restituire un oggetto-scultura raffinato, dove l’esecuzione affidata alla macchina e all’artista-artigiano sono l’omologazione del fare arte. Palmieri dimostra infatti, come la metodologia progettuale nel sistema industriale possa conferire in un fare estetico oltre il design. Il farsi dell’opera, il suo passare progressivo da concetto a materia e forma,il suo darsi come prodotto unico e finito, rinnega qualunque altra possibilità di funzione che non sia esclusivamente messaggio estetico. Le “Nature immateriali” accuratamente rifinite e lucide, in acciaio inox, rimandano a un fare concettuale i cui segni linguistici inventano strutture variamente ripetute e aeree, restituiscono a chi le guarda la sorpresa della levità e della immaterialità. L’ambientazione di queste “Nature”, molte volte sospese negli spazi della galleria, manifestano con chiarezza l’intento di suggerire all’osservatore l’idea di organismi in continuo sviluppo, forme che hanno perso la loro gravità. Le nuove sculture sono amorfe, non rimandano a nessun organismo esistente in natura. La loro sostanza è l’energia che circonda i corpi, l’immaterialità che fluisce dentro e fuori le cose e che si tramuta in materia visiva trasformandosi in strutture d’acciaio che si assottigliano fino a diventare filamenti invisibili.