Lotto 96
Provenienza: Collezione d'Atri, Parigi;
Collezione Romano, Firenze.
Bibliografia: Giuseppe Sava, Ritrovamenti e novità per Federico Cervelli e Angelo Trevisani, in Arte Veneta 77/2020, Electa Editore, 2021, pp. 166-169;
Egidio Martini, La pittura del settecento veneto, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, 1981, fig. 397, p. 473.
Referenze: Fototeca Zeri, inv. 117436, busta 558, scheda, 57601.
L'ovale, di generosi dimensioni, raffigura un terna allegorico che rivela implicazioni semantiche tanto sottili quanto dense di sfumature. Al centro domina la formosa figura della Prudenza, vero asse portante del brano, contrassegnata dal serpente e dallo specchio, attributi canonici di questa virtù. Essa è in posizione preminente ed è accompagnata da una coppia di donne che le si stringono intorno, a voler rimarcare l'unità.
A sinistra è una figura muliebre in abiti militari; indossa lorica ed elmo di lucente metallo, dalle spalle scende un mantello cremisi. Nella destra stringe un fascio di palme, mentre la sinistra tiene ben alta e visibile una corona aurea. In questa immagine va individuata l'allegoria della Vittoria, precisamente in quella declinazione che l'iconologia di Cesare Ripa descrive come la Vittoria della medaglia di Ottavio.
La nostra Vittoria non è alata ma porta gli stigmi essenziali dell'allegoria: la corona e la palma, entrambi eloquentissime immagini di colui che impalma la vittoria, sia essa politica o militare. L'immagine tratteggiata da Ripa di dice di più, ovvero che la vittoria è intimamente legata alla prudenza, tanto da portarne il peculiare contrassegno: il serpente. Il passo è estremamente interessante e adombra un nesso con la prudenza che nel dipinto si fa esplicito allorchè si osservi che quest'ultima tocca, anzi afferra con la mano sinistra una delle palme recate dalla compagna. Si fa dunque strada -e con molta chiarezza- l'idea secondo la quale il ricorso alla prudenza è necessariamente connesso al conseguimento della vittoria: l'obiettivo dello stratega, diremmo, seguendo l'evidente accezione militare della Vittoria qui raffigurata.
Ci troviamo di fronte a una di quelle espressioni composite del linguaggio allegorico, così care al Seicento, tanto nella poesia quanto nelle arti figurative. Ne consegue che la terza virtù vada interpretata in questa specifica dimensione, tanto più che è raffigurata nell'atto di abbracciare l'allegoria posta al centro.
Essa, quasi del tutto ignuda, ci appare meno perspicua, priva come pare di attributi distintivi. Un seno è scoperto, l'altro occultato da quello che in apparenza potrebbe sembrare un lembo della veste e che invece è il piatto di una bilancia, con le sue catene dorate che attraversano il petto della donna, dietro la spalla della quale occorre immaginare l'altro piatto. Si tratta della Giustizia. Diventa chiarissimo il senso più riposto del trio: l'esercizio congiunto della prudenza e della giustizia conduce alla vittoria. Un enunciato che, al di là del retroterra retorico e accademico dell'iperbole allegorica, ha tutte le credenziali per convergere su un committente non solo colto e raffinato, ma con ogni probabilità socialmente posizionato nell'ambito militare: un contesto che forse non a caso richiama la principale committenza di questi anni, quella della famiglia padovana Conti e che, in ogni caso, sembra attribuire concretezza al messaggio allegorico.
Fu Egidio Martini a pubblicare per primo questo dipinto nel 1982, come allegoria della Vanità, allorchè si trovava a Firenze, in collezione Romano. La scheda della fototeca Zeri rende conto della precedente ubicazione, la collezione d'Atri a Parigi. L'attribuzione a Pietro Liberi, formulata da Eduard Safarik, viene superata dal colletto riferimento espresso da Martini in favore di Federico Cervelli: un'indicazione attributiva nitida e unanimemente accettata dalla critica successiva che pure si è pronunciata sulla base della sola foto documentaria.
La Prudenza tra Vittoria e Giustizia rimarca invece una luce livida, metallica, uno spirito pungente, molto personale e direi quasi neomanierista, una predilezione verso i toni bronzati e una sensualità fredda che sembrano persino meditare sulla pittura sofisticata dello Spranger. È questa la forza del pittore di origine milanese, la misura della sua personalità e ciò che lo contraddistingue nell'ambito di una corrente come quella tracciata da Liberi, che accomuna e spesso confonde esponenti di minor caratura.
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