Lotto 107
L'opera è accompagnata dall'expertise a cura di Mauro Lucco, Bazzano 15 settembre 2012.
Si ringrazia il Prof. Gianni Papi per aver confermato l'autenticità dell'opera dopo visione dal vivo.
L'opera è accompagnata da attestato di libera circolazione.
La Vita di Antonio, scritta attorno al 365 dopo Cristo da Sant'Atanasio, descrive il santo in più luoghi come un uomo che, pur non alieno alla vita attiva, aveva dei momenti di intensa meditazione; inoltre, senza accennare al fatto che egli avesse o no la barba, afferma (capitolo 45) che riteneva dover "dedicare ogni cura all'anima piuttosto che al corpo al quale, invece, bisogna riservare il tempo strettamente necessario" (e possiamo dunque immaginare che la rasatura non rientrasse nel dominio dello strettamente necessario); e che (capitolo 47), "il suo vestito interno era di sacco, quello esterno di pelle". Quegli indumenti passarono poi in eredità, alla sua morte (capitolo 91), ai discepoli Atanasio (il suo biografo) e Serapione, che li tennero come reliquie, "come un grande tesoro" (capitolo 92).
Sebbene sia impossibile decidere se la veste esterna, nel nostro dipinto, sia effettivamente di pelle, essa e la veste interna appaiono di colori sufficientemente inameni per adattarsi bene al carattere ascetico di Antonio; inoltre, sulla sua spalla destra, appare il segno del "Tau", probabilmente legato alla forma del bastone che, nell'evoluzione iconografica occidentale, egli venne col tempo acquisendo. Nessun dubbio, dunque, che il dipinto rappresenti una figura tranquillamente riconoscibile, per ogni spettatore, come quella di Sant'Antonio Abate.
Quanto alla paternità del dipinto, il quesito è di quelli di più facile soluzione: perché la particolare emulsione di vero naturale, di rughe e pelle vizza, e di un colore che par bagnato più dalla luce di una torcia o di una candela fuori campo, autorizzano a riconoscervi la mano di un pittore di quel caravaggismo riformato, proveniente soprattutto da Utrecht, che sembra aver tenuto vivi quei modi, in Italia, anche dopo la loro pratica scomparsa attorno al 1630, vale a dire l'olandese Matthias, o Matteo, Stom.
Quando sia arrivato in Italia, non è dato sapere: di certo nel corso degli anni Venti, probabilmente nella seconda metà.
Documentato nell'Urbe per gli anni 1630-32, lo Stom si mosse poi verso Sud: nel 1641 era infatti in Sicilia, dove lasciò, nella chiesa degli Agostiniani di Caccamo, la sua unica tela recante, oltre alla firma, una data, il 1641. Secondo due fonti napoletane, il Celano (Notizie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli, 2 voll., Napoli 1692, p. 29), e il De Dominici (Vite de' pittori, scultori ed archi tettori napoletani..., Napoli 1742-43, vol. III, p. 155), lo Stom dipinse alcune pale d'altare e opere di cavalletto a Napoli: pare cosi ragionevole immaginare che vi si possa essere fermato negli anni che intercorrono fra il 1633 ed il 1640. In Sicilia, poi, soggiornò principalmente a Messina e a Palermo. Dopo queste citazioni dello Stom si perdono completamente le tracce, tanto da far pensare che egli sia morto attorno al 1650.
In questa situazione, se la mano dell’artista è facilissimamente riconoscibile, un arco evolutivo più o meno coerente della sua arte è pressoché impossibile da tracciare.
Sul piano filologico, è piuttosto evidente la somiglianza del nostro dipinto con opere come gli Evangelisti Matteo e Giovanni della Columbia University di New York, o il San Giuseppe dell'Adorazione dei pastori nel Museo Statale di Belle Arti A. Radischev di Saratov, in Russia.
Il taglio dell'immagine e il suo emergere dall'oscurità fanno pensare a soluzioni già esperite da Jusepe de Ribera, ad esempio nel suo Sant'Antonio Abate della collezione El Conventet di Barcellona.
Il nostro Sant'Antonio stilisticamente consuona anche con altre opere compiute a Napoli nello stesso giro di anni, ad esempio il San Girolamo in meditazione sul teschio della Whitfield Fine Art Gallery di Londra.
Pur conservando sempre una sua inconfondibile voce, Stom sembra attratto da tali immagini, a mezzo busto, di uomini meditativi e pensosi, e, senza alcuna concessione a uno stile chiaramente napoletano, pare qui adeguarvisi; tanto più che questo è, ad oggi, l'unico suo dipinto eseguito in questo particolare formato. Ne conseguirebbe che la nostra tela deve essere stata dipinta a Napoli, e datarsi in qualche punto non precisabile fra il 1633 ed il 1640.
Base d'asta: € 22.000,00
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