Il Ragamala è una serie di dipinti raffiguranti modi musicali e rappresenta uno dei temi più cari alla tradizione indiana, specialmente Rajasthana. Ogni serie è composta da 36 o più raramente 42 dipinti generalmente raccolti in famiglie di sei contenenti un raga (maschile) e cinque raginis (mogli). Data la complessità della struttura, serie complete sono difficilmente reperibili, ma ancor più rara è la rintracciabilità di Ragamala afferenti alla scuola di Sirohi di cui al momento si conoscono solo una serie completa di trentasei dipinti ed una di tredici conservate presso la collezione K. Sangram Singh di Nawalgarh, diversi dipinti singoli sparsi in collezioni pubbliche e private ed una serie di tredici recentemente emersa all'attenzione degli studiosi da cui proviene l'esemplare qui proposto. La scuola pittorica di Sirohi fu attiva per circa due secoli, XVII - XVIII, ma il periodo più fecondo per le Ragamala fu l'ultimo quarto del XVII secolo, periodo al quale sono ascrivibili tutti gli esemplari conosciuti. Il consenso generale ritiene che il carattere distintivo di questa scuola risieda nella vivacità dei colori e, soprattutto per quel che concerne le Ragamala, nell'interpretazione in chiave locale dei temi e dell'iconografia classica rajasthana, tratti che identificano la scuola di Sirohi come un unicum all'interno della scuole pittoriche Rajput. Questo dipinto rappresenta Sarang raga, come descritto in un'iscrizione sul retro del dipinto, che prevede la raffigurazione di un asceta seduto su una roccia, sotto un albero, due cervi in corsa verso di lui ed un giovane discepolo che si avvicina. Entrambe le figure recano in mano delle foglie, probabilmente intese come nutrimento per gli animali. Tutti gli elementi naturali descritti sono altresì inseriti in un contesto palatino. Per un esemplare comparativo si veda quello conservato al Victoria and Albert Museum di Londra (IS. 113-1960) e per un approfondimento si consulti l'articolo dedicato: Elena Preda, The Sirohi Ragamalas: an important Discovery, in Rivista degli Studi Orientali, 2011, volume LXXXIV, pp. 371-383.