Lotto 316

Pietro Baratta (1668 - 1729)

Visione di Santa Maria Maddalena de' Pazzi.

L'opera è accompagnata dalla scheda a cura di Monica De Vincenti (Venezia, ottobre 2008).

Il rilievo in esame, proveniente da una cappella privata, rappresenta una delle numerose visioni mistiche occorse alla monaca carmelitana fiorentina Maria Maddalena de' Pazzi (1566-1607), canonizzata nel 1669, tramandate dalle complesse trascrizioni delle consorelle: veri e propri reportages dei lunghi e ripetuti rapimenti estatici che registravano scrupolosamente parole e gesti della santa.
Nel riquadro marmoreo si riconosce Maria Maddalena de' Pazzi, in abiti carmelitani, col giglio disteso ai suoi piedi, simbolo di purezza. La santa appare inginocchiata di fronte alla Vergine, assisa e benedicente, mentre abbraccia teneramente Gesù Bambino con il capo chino, gli occhi socchiusi, la mano sinistra portata al petto. A sua volta Gesù avvicina il proprio volto a quello della santa e con la mano destra accenna una carezza: ha luogo così il muto ed efficacissimo dialogo attraverso cui trova espressione il forte legame che unisce Cristo alla monaca carmelitana. In secondo piano assistono allo straordinario avvenimento un grande angelo avvolto dalle nubi, ed una monaca che, affacciandosi dal portico del convento, osserva, visibilmente turbata, la scena. Giungono, infine, dal cielo tre piccoli angeli a recare gli strumenti della Passione, mentre alcuni cherubini fanno capolino tra le nubi.
Sin dal primo sguardo l'opera, sia per il tono affabile della narrazione, sia per i valori pittorici quasi cromatici dell'immagine, si colloca nell'alveo della scultura veneta dei primi decenni del Settecento. Gli evidenti richiami alla scultura centro italiana del tardo Seicento non inficiano invero questa tesi, semmai la rafforzano suggerendo piuttosto di chiamare in causa da subito il toscano Pietro Baratta ( Massa 1668-Carrara 1729), esponente di spicco di quella generazione di scultori operanti a Venezia nei primi decenni del Settecento. Baratta, appartenente ad una famiglia di scultori attivi anche a Roma, Genova e Torino, si stabilì nella città lagunare, pur senza mai perdere i contatti col più famoso fratello Giovanni, dal 1693 al 1727, anno in cui ritornò alla sua terra d'origine per occuparsi principalmente d'istruire due giovani russi, venendo nominato primo maestro scultore dello zar in Italia.
Lo scultore giunse in laguna - per dirla col Temanza (Zibaldon, [1738], Firenze 1963, p. 72) - "Bene avanzato nell'arte" ma il suo stile fortemente intriso di formulazioni linguistiche tosco-romane, riecheggianti modelli bernniiani ed algardiani, aveva dovuto ben presto adeguarsi al gusto della committenza veneta che all'epoca prediligeva invece un linguaggio d'orientamento classicistica più morbido e pittorico. Divenuto quindi uno scultore apprezzato, Baratta partecipò alle più importanti imprese decorative cittadine alle dipendenze di alcune delle famiglie più cospicue di antica e di nuova nobiltà - come i Valier e i Manin -, estendendo inoltre la propria attività in Friuli, a Vienna e a Dresda, in Dalmazia e in Russia.
Sono davvero numerosi gli elementi tipologici, stilistici e formali presenti nella Visione di Santa Maria Maddalena de' Pazzi che presentano stringenti confronti con i lavori autografi di Pietro Baratta.
Per il sodo plasticismo, la larghezza dei piani e il movimentato gioco di linee marcate lungo le quali scorre la luce e si costruisce la composizione, il riquadro marmoreo in esame può essere accostato ai rilievi che rafffigurano la Carità e l'Umiltà, scolpiti per il basamento del Monumento ai dogi Valier della chiesa veneziana dei Santi Giovanni e Paolo, eretto nel primo decennio del Settecento.
Tali virtù, in rapporto soprattutto all'immagine di Santa Maria Maddalena de' Pazzi, presentano una resa fisionomica e delle mani del tutto analoga, così come strettamente imparentato al piccolo Gesù risulta il putto allattato dalla Carità. La stessa osservazione vale anche per gli altri putti del riquadro del Monumento Valier che sostanzialmente ripropongono la stessa tipologia infantile dei piccoli angeli recanti gli strumenti della Passione di Cristo, come appare evidente paragonando la struttura anatomica, le sembianze dei volti e il modellato delle tenere carni.
Sempre il rilievo con la Carità offre poi un ulteriore eloquente confronto con la figura della Vergine assisa e benedicente, soprattutto relativamente al disporsi del tagliente profilo del manto che l'avvolge, il quale sembra quasi riprodurre lo stesso motivo zigzagante del drappo della figura allegorica. Il volto della Vergine trova il raffronto più efficace nel viso incorniciato dalle chiome raccolte e striate della sibilla Samia; un'opera che trova posto nel presbiterio della chiesa degli Scalzi a Venezia, e che fu scolpita verosimilmente dall'artista toscano nel 1717 circa. I due volti, infatti, oltre a presentare i medesimi lineamenti, manifestano una del tutto analoga minuzia che si sofferma nella descrizione puntuale degli occhi dalle iridi e dalle pupille incise. Concordanze altrettanto sorprendenti e convincenti per l'attribuzione del rilievo in esame, risultano poi dal confronto del grande angelo del riquadro in esame con gli Angeli dell'abbazia di Follina, eseguiti da Pietro Baratta tra 1699 e1700, che parimenti appaiono avvolti dalle nubi, caratterizzati da lineamenti, espressioni e gesti del tutto analoghi; o, ancora, con la statua di Sant'Anna conservata nella chiesa di San Sebastiano a Venezia: una figura quest'ultima strettamente imparentata alla matura monaca testimone dell'evento prodigioso.

Bibliografia di riferimento: T. Temanza, Zibaldon, [1738], a cura di N. Ivanoff, Firenze 1963; H. Honour, Count Giovanni Baratta and his brothers, in "The Connoisseur", CXLVII, n. 573, 1958, pp. 170-177; H. Honour, Baratta, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, V, 1963, pp. 793-794; C. Semenzato, La Scultura veneta del '600 e del '700, Venezia 1966, pp. 31-33, 94-95; M. De Vincenti, Sui Monumenti Manin del Duomo di Udini, in "Venezia Arti", 11, 1997, pp.61-68; M. De Vincenti, "Piacere ai dotti e ai migliori", Scultori classicisti del primo Settecento, in La scultura veneta del Seicento e del Settecento. Nuovi studi, Atti della giornata di studio (Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia, 30 novembre 2001), a cura di G. Pavanello, Venezia 2002, pp. 221-281.

In attesa dell'attestato di libera circolazione.

Tecnica: Marmo di Carrara.

Misure: 110.0 x 80.0 cm

Tipologia oggetto Sculture

Dipartimento ARTE ANTICA E DEL XIX SECOLO

Periodo Arte antica

Base d'asta: 15.000,00

Stima: 15.000,00 - 20.000,00

Il lotto sarà battuto in asta il 08 luglio a partire dalle 11:00.
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